La fonte principale del dramma è Plutarco nella traduzione di Sir Thomas North, o nella prima (1579) o nella seconda edizione (1595). I primi tre atti sfruttano le vite di Cesare, di Antonio e di Bruto, e quest’ultima è utilizzata soprattutto per gli ultimi due. La fonte è seguita con molta fedeltà. La composizione del Julius Caesar segna il primo incontro importante di Shakespeare con il biografo greco; il rapporto ha ancora un carattere, in qualche misura, d’esperimento e, insomma, tra la fonte e la sua resa drammatica si nota pure un certo margine d’indipendenza che, in seguito, si potrà ritagliar sempre meno. Un Caius Iulius Caesar che fu aggiunto all’edizione 1587 del Mirror for Magistrates poté suggerire — come crede il Dorsch — qualche giro di frase, e si riscontrerebbero, nel dramma, anche echi da altre sezioni del Mirror. E, fin qui, il suggerimento è più che ragionevole, data la presenza del Mirror tra i materiali essenziali per la composizione delle Histories. Ma questa influenza è, comunque, assai poco rilevante, rispetto a quella di Plutarco. Si pensi che questi è sfruttato nei minimi particolari e, sebbene espanso e contratto a seconda che lo richieda l’azione drammatica, mirabilmente fondendosi nella costruzione dei cinque atti un materiale che era seminato, qua e là, in ben tre Vite diverse, pure Shakespeare non inventò, praticamente, nulla all’infuori dei discorsi di Bruto e di Antonio nel foro: e, tutto sommato, anche per l’impostazione stilistica di questi egli pensò bene di affidarsi a certe osservazioni di Plutarco, là dove, ad esempio, toccando dello stile di Bruto nelle sue lettere greche, il biografo dice ch’egli padroneggiava « il modo. breve e compendioso che s’usa nella parlata de’ Lacedemoni », o dove rileva che Antonio coltivava l’oratoria di stile asiatico.
Naturalmente, siccome il tema era stato già trattato da altri drammaturghi prima di Shakespeare, gli eruditi non si son fatti pregare per andare a frugare in tutti i ripostigli più alla mano, al fine di scoprirvi qualche relitto di motivo che potesse aver messo in moto la fantasia del poeta. Ma il raccolto è stato gramo, e praticamente infruttuoso. D’un dramma accademico, Caesar Interfectus, che poté esser rappresentato a Christ Church College, Oxford, nel 1582, ci è pervenuto soltanto un epilogo in prosa latina di un Richard Edes, fellow del College, che probabilmente scrisse anche tutt’intero il dramma. Il diario del Henslowe segna un « seser & pompie » (Cesare e Pompeo) all’8 novembre 1594 e una « 2 pte of sesore »(Seconda parte di Cesare) al 18 giugno 1595, ma poiché di questi drammi non ci è stato tramandato nulla, neppure sotto forma di notizie, non si può stabilire quanto poterono influenzare Shakespeare. Né si vede in che misura il drammaturgo si poté servire del Cesare (1594) di Orlando Pescetti, che costituirebbe l’unica possibile fonte italiana: le due opere si somigliano solo perché hanno per oggetto la stessa vicenda e si riferiscono, press’a poco, alle stesse fonti. Il tema della morte di Cesare era parte anche della Cornélie (1574) del Garnier, ch’era stata tradotta e adattata in inglese dal Kyd e stampata nel ‘94, ma né il testo né la traduzione presentano alcuna diretta connessione con il dramma shakespeariano. Tutti i più importanti drammi su quel tema, del resto, son posteriori al ‘99. In altre parole, fin dal suo primo incontro con Plutarco, Shakespeare aveva inteso perfettamente che per la sua creazione drammatica gli sarebbe bastato fidarsi del biografo greco, e che qualsiasi altra garanzia sarebbe stata superflua.
Atto II scena I
Bruto:
"Dev’esser con la morte …
Per mia parte, non ho nessun motivo
per doverlo coprire di disprezzo;
ma si tratta del bene generale.
Vorrebbe farsi incoronare re.
Quanto ciò può cambiar la sua natura?
Ecco il mio dubbio… È la bella giornata
che fa uscire la vipera all’aperto.
E allora occorre agire con cautela.
Incoronarlo re!…
Già, ma così gli diamo in mano un pungolo
con cui potrà far danno quando vuole…
Del potere si abusa facilmente,
quando non sia congiunto alla pietà;
anche se in Cesare non seppi mai
che le passioni avessero prevalso
sulla fredda ragione… Ma è provato
che l’umiltà servì sempre da scala
all’ambizione, quando questa è giovane,
e chi sale le volge sempre il volto;
ma poi, raggiunto l’ultimo gradino,
volta il dorso alla scala, e guarda in alto
sdegnoso ormai degli umili gradini
grazie ai quali è salito fin lassù.
Così potrebbe Cesare… ed allora,
per impedirlo, occorre prevenirlo.
Poiché, peraltro, una denuncia simile
potrà apparire senza fondamento,
per quello ch’egli è stato fino ad oggi,
mettiamola così: quello ch’è oggi,
se acquistasse maggiori proporzioni,
potrebbe volgere ad estremi eccessi;
e si deve pensare allora a Cesare
come a un uovo di serpe che, covato,
diverrebbe fatale per natura;
ed allora uccidiamolo nel guscio!
Atto III scena II
I cittadini chiedono ad alta voce spiegazioni e soddisfazione per la morte di Cesare.
BRUTO -
Romani, miei compatrioti, amici, io vi chiedo pazienza; ascoltatemi bene fino in fondo, e restate in silenzio,
e vi esporrò la causa(71) del mio agire.
Sul mio onore, credetemi, ed abbiate rispetto del mio onore; giudicatemi nella saggezza vostra, e a meglio farlo aguzzate l’ingegno. Se c’è alcuno fra voi
ch’abbia voluto molto bene a Cesare,
io dico a lui che l’amore di Bruto
per Cesare non fu meno del suo.
Se poi egli chiedesse perché Bruto
s’è levato con l’armi contro Cesare,
la mia risposta è questa: non è che Bruto amasse meno Cesare, ma più di Cesare amava Roma. Preferireste voi Cesare vivo
e noi tutti morire come schiavi, oppur Cesare morto, e tutti liberi?
Cesare m’ebbe caro, ed io lo piango;
la fortuna gli arrise, ed io ne godo;
fu uomo valoroso, ed io l’onoro.
Ma fu troppo ambizioso, ed io l’ho ucciso.
Lacrime pel suo amore, compiacimento per la sua fortuna, onore al suo valore,
ma morte alla sua sete di potere!
C’è alcuno tra voi che sia sì abietto
da bramare di viver come servo?
Se c’è, che parli, perché è lui che ho offeso!
Se alcuno c’è tra voi che sia sì barbaro
da rinnegare d’essere un Romano,
che parli, perché è a lui che ho fatto torto!
E chi c’è qui tra voi di tanto ignobile
da non amar la patria? Se c’è, parli:
perché è a lui ch’io ho recato offesa.
Il popolo sembra inclinare per le ragioni di Bruto. Entra Antonio recando il cadavere di Cesare. Gli viene ceduta la parola.
ANTONIO -
Romani, amici, miei compatrioti, vogliate darmi orecchio.
Io sono qui per dare sepoltura
a Cesare, non già a farne le lodi.
Il male fatto sopravvive agli uomini,
il bene è spesso con le loro ossa
sepolto; e così sia anche di Cesare.
V’ha detto il nobile Bruto che Cesare
era uomo ambizioso di potere:
se tale era, fu certo grave colpa,
ed egli gravemente l’ha scontata.
Qui, col consenso di Bruto e degli altri
- ché Bruto è uom d’onore,
come lo sono con lui gli altri -
io vengo innanzi a voi a celebrare
di Cesare le esequie. Ei mi fu amico,
sempre stato con me giusto e leale;
ma Bruto dice ch’egli era ambizioso,
e Bruto è certamente uom d’onore.
Ha addotto a Roma molti prigionieri,
Cesare, e il lor riscatto ha rimpinzato
le casse dell’erario: sembrò questo
in Cesare ambizione di potere?
Quando i poveri han pianto,
Cesare ha lacrimato: l’ambizione
è fatta, credo, di più dura stoffa;
ma Bruto dice ch’egli fu ambizioso,
e Bruto è uom d’onore.
Al Lupercale - tutti avete visto -
per tre volte gli offersi la corona
e per tre volte lui la rifiutò.
Era ambizione di potere, questa?
Ma Bruto dice ch’egli fu ambizioso,
e, certamente, Bruto è uom d’onore.
Non sto parlando, no, per contraddire a ciò che ha detto Bruto: son qui per dire quel che so di Cesare.
Tutti lo amaste, e non senza cagione,
un tempo… Qual cagione vi trattiene
allora dal compiangerlo? O senno,
ti sei andato dunque a rifugiare
nel cervello degli animali bruti,
e gli uomini han perduto la ragione?
Scusatemi… il mio cuore giace là
nella bara con Cesare,
e mi debbo interromper di parlare
fin quando non mi sia tornato in petto.
1° CITTADINO -
Mi sembra che ci sia molta ragione
in quel che ha detto.
2° CITTADINO -
Certo, a ripensarci.
Cesare ha ricevuto grandi torti.
3° CITTADINO -
Ah, sì, certo compagni.Ed ho paura
che al suo posto ne venga uno peggiore.
4° CITTADINO - Avete ben notato quel che ha detto? Non ha voluto accettar la corona:
allora è certo, non era ambizioso.
1° CITTADINO - Se davvero è così,
qualcuno la dovrà pagar ben cara.
2° CITTADINO - Pover’anima, ha gli occhi tutti rossi come il fuoco, dal piangere.
3° CITTADINO - Non c’è uomo più nobile di Antonio a Roma.
4° CITTADINO - Ecco, riprende a parlare.
ANTONIO - Ancora ieri, la voce di Cesare avrebbe fatto sbigottire il mondo:
ed ei giace ora là, e nessuno si stima tanto basso da render riverenza alla sua spoglia.
Oh, amici, fosse stata mia intenzione
eccitare le menti e i cuori vostri alla sollevazione ed alla rabbia, farei un torto a Bruto e un torto a Cassio, i quali sono uomini d’onore, come tutti sapete.
Non farò certo loro questo torto;
preferisco recarlo a questo ucciso,
a me stesso ed a voi, piuttosto che a quegli uomini onorevoli. Ma ho qui con me una pergamena scritta, col sigillo di Cesare;
l’ho rinvenuta nel suo gabinetto: è il suo testamento.
Se solo udisse la gente del popolo
quello ch’è scritto in questo documento
- che, perdonate, non intendo leggere -
andrebbe a gara a baciar le ferite
di questo corpo, e a immergere ciascuno
i propri lini nel suo sacro sangue;
e a chiedere ciascuno, per reliquia,
un suo capello, di cui far menzione
in morte, per lasciarlo in testamento,
prezioso lascito, ai suoi nipoti.
1° CITTADINO - Il testamento lo vogliamo udire. Leggilo, Marcantonio!
TUTTI - Il testamento!
Il testamento! Vogliamo sentire
quali sono le volontà di Cesare.
ANTONIO - Gentili amici, no,
siate pazienti, non lo debbo leggere. Non è opportuno che voi conosciate fino a che punto Cesare vi amasse. Non siete né di legno, né di pietra, ma siete uomini, e, come uomini, sentendo quel che Cesare ha testato, v’infiammereste, fino alla pazzia.
È bene non sappiate che suoi eredi siete tutti voi, perché, se lo sapeste, oh, chi sa mai che cosa ne verrebbe!
4° CITTADINO - Leggi quel testamento!
Vogliamo udire quel che dice, Antonio!
Devi leggere la sua volontà!
ANTONIO - Davvero non volete pazientare?
Non volete aspettare ancora un po’?
Ho trasgredito a me stesso a parlarvene.
Fo torto, temo, agli uomini d’onore
i cui pugnali hanno trafitto Cesare.
4° CITTADINO - Che “uomini d’onore”: traditori!
ALTRI CITTADINI - Vogliamo il testamento!
2° CITTADINO -Scellerati! Assassini!… Il testamento! Leggici il testamento!
ANTONIO - Mi costringete, dunque, a forza a leggerlo?… Allora fate cerchio
tutt’intorno al cadavere di Cesare
e lasciate ch’io scopra agli occhi vostri
colui che ha fatto questo testamento.
Devo scendere? Me lo permettete?
TUTTI - Vieni giù.
Scendi. È questo che vogliamo.
(Antonio scende dal rostro e si porta vicino alla salma di Cesare)
UN CITTADINO - Stiamo in cerchio.
UN ALTRO - Discosti dalla bara.
UN ALTRO - Non ci accalchiamo tutti sul cadavere.
UN ALTRO - Fate largo ad Antonio…
al nobilissimo Antonio.
ANTONIO - (Che è sceso dal rostro)
No, no, non dovete accalcarvi intorno a me,
state discosti.
ALCUNI - Indietro, gente, indietro!
ANTONIO - Ora, se avete lacrime, Romani,
preparatevi a spargerle. Il mantello lo conoscete tutti: io ho, nel mio ricordo,
la prima volta ch’egli l’ha indossato:
nella sua tenda, una sera d’estate,
il giorno stesso che sconfisse i Nervii.
Guardate: in questo punto è penetrato
il pugnale di Cassio; qui, vedete,
che squarcio ha fatto nella sua ferocia
Casca, e per là è poi passato
il pugnale del suo diletto Bruto;
e quando questi ha estratto da quel varco
il maledetto acciaio, ecco, osservate
come il sangue di Cesare n’è uscito
quasi a precipitarsi fuor di casa
per sincerarsi s’era stato Bruto,
o no, che avesse così rudemente
bussato alla sua porta:
perché Bruto era l’angelo di Cesare,
lo sapete. E voi siete testimoni, o dèi,
di quanto caramente egli l’amasse!
Questo di tutti i colpi
è stato certamente il più crudele:
perché il nobile Cesare
quando vide colui che lo vibrò,
l’ingratitudine, più che la forza
delle braccia degli altri traditori,
lo soverchiò del tutto, e il suo gran cuore
gli si spezzò di schianto;
e, coprendosi il volto col mantello,
ai piedi della statua di Pompeo,
che intanto s’era inondata di sangue,
il grande Cesare crollò e cadde.
Oh, qual caduta, miei compatrioti,
è stata quella! Tutti, in quell’istante,
siamo caduti, mentre su di noi
trionfava nel sangue il tradimento.
Oh, ora voi piangete; e la pietà,
m’accorgo, fa sentire in voi il suo morso:
son generose lacrime, le vostre;
e voi piangete, anime gentili,
e avete visto solo sulla veste
del nostro Cesare le sue ferite.
Guardate qua:
(Solleva il lenzuolo e scopre il corpo di Cesare) il suo corpo straziato dai pugnali traditori.
CITTADINI - Uh, quale scempio!
Oh, magnanimo Cesare!
O infausto giorno!
Infami traditori!
Oh, che orribile vista! Quanto sangue!
Vendicarlo dobbiamo.
Sì, vendetta!
Vendetta! Attorno, frugate, bruciate,
incendiate, uccidete, trucidate,
non resti vivo un solo traditore!
1° CITTADINO - Silenzio, olà! Ascoltiamo ancora Antonio.
2° CITTADINO -Ascolteremo, seguiremo Antonio, moriremo con lui…
ANTONIO - Miei buoni amici,
miei cari amici, non fatemi carico
d’istigarvi ad un simile improvviso
flutto di ribellione. I responsabili di quest’azione sono gente d’onore…
Quali private cause di rancore possano averli indotti, ahimè, a compierla,
non so: essi son saggi ed onorevoli
e vi sapranno dire le ragioni.
Non son venuto, amici, a rapire per me il vostro cuore; non sono un oratore come Bruto, sono - mi conoscete - un uomo semplice che amava Cesare con cuor sincero; e questo sanno bene anche coloro
che m’han concesso il loro beneplacito
a parlare di lui così, in pubblico; perché io non posseggo né l’ingegno, né la facondia, né l’abilità, né il gesto, né l’accento,
né la forza della parola adatta a riscaldare il sangue della gente: parlo come mi viene sulla bocca, vi dico ciò che voi stessi sapete, vi mostro le ferite del buon Cesare,
povere bocche mute, e chiedo a loro di parlar per me. S’io fossi Bruto e Bruto fosse Antonio, allora sì, che qui a parlare a voi
vi sarebbe un Antonio ben capace di riscaldare gli animi e di dar voce ad ogni sua ferita per trascinare a Roma anche le pietre alla rivolta ed all’insurrezione!
Traduzione italiana di Goffredo Raponi tratta da LiberLiber .
PERSONAGGI
PERSONAGGI
GIULIO CESARE
OTTAVIO CESARE
MARCO ANTONIO
M. EMILIANO LEPIDO
CICERONE
PUBLIO
POPILIO LENA
MARCO BRUTO
CASSIO
CASCA
TREBONIO
LIGARIO
DECIO BRUTO
CINNA
METELLO CIMBRO
FLAVIO
MARULLO
ARTEMIDORO
sofista di Cnido
Un INDOVINO
CINNA
poeta
Un altro poeta
LUCILIO
TITINIO
MESSALA
CATONE il Giovane
VOLUMNIO
VARRONE
CLITO
CLAUDIO
STRATONE
LUCIO
DARDANIO
PINDARO
servo di Cassio
CALPURNIA moglie di Cesare
PORZIA
moglie di Bruto
Senatori, Cittadini, Guardie, Schiavi, ecc…
Atto I scena I
Una via di Roma. Giulio Cesare è di ritorno a Roma dalla guerra civile contro Pompeo.
Flavio e Marullo, i due tribuni della plebe, intercettano la conversazione di alcuni popolani che inondano le strade di Roma per accogliere favorevolmente il ritorno di Cesare. I due tribuni, che temono la tirannia di Cesare, nel commentare la volubilità del popolo che prima aveva inneggiato a Pompeo e adesso si appresta a glorificare il nuovo potente, disperdono i popolani dicendosi che « tutte queste penne che strapperemo dall’ali di Cesare lo forzeranno a volare più basso.»
Atto I, scena II
Una piazza di Roma.
Tra la folla un indovino ferma Cesare profetando di guardarsi dalle Idi di marzo. Cesare non dà peso alle sue parole. Nel frattempo, la folla a Roma è in delirio mentre Marc'Antonio tenta di assegnare a Cesare per ben tre volte la corona di re. Tutte e tre le volte Cesare rifiuta. Bruto e Cassio (cui più tardi si aggiungerà Casca) in disparte di scoprono unanimemente contrari al potere di Cesare. Ma nel discorso di Cassio c’è livore e malanimo anche personale verso Cesare, che egli confessa di aver salvato dai flutti del Tevere e di aver assistito in Spagna durante la malattia, mentre adesso, questo nuovo padrone del mondo, a malapena gli rivolge il saluto.
Ma Cesare nel colloquio seguente con Antonio (Marc’Antonio) sospetta qualcosa: dice di temere gli individui come Cassio, troppo magri, sempre in tensione, che non amano la musica, che leggono troppo. Se qualche offesa gli deve arrivare sicuramente da gente come Cassio arriverà.
Atto I, scena III
Una via di Roma, notte.
Cicerone incontra Casca il quale lo informa dell’accadimento di strani fatti, da interpretare come presagi (un leone manso per le vie di Roma, una civetta che appare in pieno giorno nel Foro). Cicerone , gli risponde che ai segni si possono dare interpretazioni opposte e chiede, ottenendone assenso, se il giorno dopo Cesare sarà in Campidoglio. All’uscita di Cicerone entra Cassio. Tra i due è commentato il fatto che Cesare andrà in Campidoglio per ricevere dai senatori la corona di re. Si salda il primo nucleo della congiura contro la tirannia. Si aggiunge anche Cinna: insieme ordiscono di tirare dalla loro parte anche Bruto, che è amato da Cesare.
Atto II, scena I
Il giardino della casa di Bruto.
Soliloquio di Bruto sull’ascesa al potere di Cesare e sulle sue ambizioni alla tirannia contro cui decide in cuor suo di porre argine. Il servo Lucio gli porge un foglio, rinvenuto nel giardino di casa. Lo scritto contiene un incitamento alla resistenza contro il tiranno. Alla porta di casa si presenta allora Cassio con altri congiurati incappucciati (Casca, Cinna, Metello, Decio, ecc), che Bruto riceve. Si salda il patto tra i congiurati. Si decide di tener fuori dalla congiura Cicerone, che pure potrebbe appoggiarla, e di escludere dalla morte Marc’Antonio, perché l’obiettivo della congiura non sono i corpi ma lo spirito della tirannide. Al battere di un orologio (sic!) che segna le tre di notte i congiurati decidono di sciogliersi e di darsi appuntamento alle otto del mattino, benché gli ultimi timori li facciano dubitare sul fatto che Cesare, negli ultimi tempi superstizioso, possa decidere di uscire di casa per recarsi al Campidoglio. Decio s’incarica di convincerlo. Rimasto solo in casa Bruto ha un colloquio con la moglie Porzia che gli chiede di essere messa a parte del suo tormento interiore degli ultimi giorni, che non le è certo sfuggito, come non le è sfuggito il convegno notturno con uomini incappucciati. Bruto allontana la moglie con la promessa di aprirle il proprio cuore, e rimasto nuovamente solo riceve un altro congiurato, Caio Ligario col quale, ormai giorno, decide di recarsi a casa di Cesare.
Atto II, scena II
Roma. Una sala del palazzo di Cesare
Cesare teme i presagi. Incarica un servo di correre verso i sacerdoti, di chiedere un sacrificio per lui e di interrogare gli aruspici. La moglie Calpurnia ricordando i cattivi presagi (una leonessa che partorisce per strada e i sogni suoi e dei famigli) lo supplica di non uscire di casa. Cesare ha ormai deciso di uscire, solo i vili infatti temono il proprio destino, i valorosi vi vanno incontro, anche perché esso non può essere modificato. Di ritorno il servo annuncia che gli aruspici sono negativi, ché non è stato trovato il cuore nelle viscere della bestia sacrificata. Cesare interpreta il presagio in senso contrario perché, al pari di quell’animale, sarebbe egli senza cuore, se rimanesse a casa per paura. Ma Calpurnia in ginocchio riesce a fargli mutare opinione e a inviare Marc’Antonio in vece sua al Campidoglio. Entra Decio per scortare Cesare al Campidoglio. All’annuncio di Cesare che non andrà per via del sogno fatto da Calpurnia di aver visto la sua statua cadere e scorrere sangue nel quale il popolo intingeva le mani, Decio riesce a ribaltarne il significato, convincendolo che quello della moglie era un buon presagio, significando quel sangue la linfa del grande Cesare cui il popolo romano attingeva. Tant’è vero che il Senato lo attende in Campidoglio per dargli la corona, e cosa avrebbe detto ai senatori, di aspettare che nuovi beneauguranti sogni facesse Calpurnia? Cesare rompe ogni indugio e decide di uscire. Sul limitare di casa e lungo la via del Campidoglio incontra tutti i congiurati e anche Marc’Antonio. Suonano (sic!) le otto.
Atto II, scena III
Roma, una via nei pressi del Campidoglio
Artemidoro legge un foglio dove è rivelato per filo e per segno l’intero complotto. Decide di consegnarlo a Cesare al suo passaggio
Atto II, scena IV
Roma, un’altra parte della stessa via, davanti alla casa di Bruto.
Entra Porzia che tenta di inviare il servo Lucio al Campidoglio al solo scopo di riferirle il comportamento di Bruto e degli altri. Un indovino incontrato per strada le comunica che vuole mettere Cesare in guardia, ma timoroso del pigia-pigia che sicuramente procurerà il passaggio di Cesare si mette da parte. Porzia intuisce che gli eventi stanno per precipitare ed infine riesce a mandare Lucio incontro a Bruto perché le possa riferire ciò che accadrà di lì a poco.
Atto III, scena I
Roma, il Campidoglio.Grande folla sulla strada che mena al Campidoglio e tra la folla Artemidoro e l’indovino. Una fanfara annuncia l’ingresso di Cesare, scortato da tutti i congiurati.
Artemidoro riesce a consegnare il suo foglio a Cesare. Ma lesto Decio gliene mette in mano un altro. Cesare decide di non leggere il foglio di Artemidoro. I congiurati stabiliscono di accostarsi a Cesare fingendo di porgergli una supplica. S’avanza Metello Cimbro. Ma Cesare lo redarguisce, ammonendolo che se è venuto a perorare la causa del fratello Publio Cimbro, bandito da Roma, egli non cambierà certo i suoi decreti. Anche Bruto s’accosta perorando la causa di Publio, e anche Cassio. Ma Cesare si dichiara fermo nella sua decisione “come la stella dell’Orsa Minore”. Tutti i congiurati accerchiano Cesare, e Casca è il primo a colpire Cesare con una pugnalata al collo. Tutti colpiscono, Bruto per ultimo: « Et tu, Brute?… E allora cadi, Cesare!», sono le ultime parole di Cesare, che stramazza al suolo ai piedi della statua di Pompeo. Cinna inneggia alla libertà ritrovata e alla caduta del tiranno, mentre Bruto prima di raggiunge i rostri, tenta un’allocuzione al popolo romano. Invita il popolo a bagnare le mani e le armi nel sangue di Cesare e a inneggiare alla pace e alla libertà ritrovata. Sopraggiunge un servo di Marc’Antonio che gli rende omaggio e sottomissione in nome del suo padrone. Bruto rimanda indietro il servo con l’ambasciata di rassicurare Marc’Antonio che egli lo stima e che se vuole può aggregarsi a loro. Ma ecco sopraggiungere Antonio, che rende omaggio alla salma di Cesare e che dice ai congiurati di non conoscere i loro disegni e che se vogliono ucciderlo vicino a Cesare ne sarebbe onorato. Bruto lo rassicura e conferma che il suo gesto, grondante pietà per Cesare, aveva tuttavia inclinato di più per la pietà di Roma, la cui libertà era minacciata dal tiranno. Antonio, dibattuto tra codardia, adulazione e ultimi segni di sincero dolore per Cesare, si dichiara, con estremo tatto politico, dalla parte dei congiurati, stringendo ad ognuno le mani, prima ancora di conoscerne e chiederne le ragioni del tirannicidio. Chiede però a Bruto, che magnanimamente e incautamente glielo concede, di portare il cadavere di Cesare al Foro e di farne l’epicedio. Alle obiezioni di Cassio che tenta di dissuaderlo da questa decisione Bruto replica che egli per prima parlerà al popolo e che ad esso egli spiegherà le proprie ragioni e che Antonio parlerà sì ma col suo beneplacito e con l’esplicita intimazione di non biasimare i congiurati. Escono tutti e rimasto solo Antonio piange sul cadavere di Cesare le sue lacrime più intime e sincere. Sopraggiunge un servo di Ottavio. Antonio gli chiede di aiutarlo a portare il cadavere di Cesare nel Foro ma anche di raggiungere il suo padrone e di informarlo sui fatti accaduti e di suggerirgli di non raggiungere Roma insicura al momento per lui.
Atto III, scena II
Roma, il Foro.
I cittadini chiedono ad alta voce spiegazioni e soddisfazione per la morte di Cesare. Bruto affronta il pubblico uditorio. Ha amato egli Cesare, ma di più ha amato Roma. «Cesare m’ebbe caro, ed io lo piango; la fortuna gli arrise, ed io ne godo; fu uomo valoroso, ed io l’onoro. Ma fu troppo ambizioso, ed io l’ho ucciso. Lacrime pel suo amore, compiacimento per la sua fortuna, onore al suo valore, ma morte alla sua sete di potere!». Il popolo sembra inclinare per le ragioni di Bruto. Entra Antonio recando il cadavere di Cesare. Gli viene ceduta la parola. « Romani, amici, miei compatrioti, vogliate darmi orecchio. Io sono qui per dare sepoltura a Cesare, non già a farne le lodi. Il male fatto sopravvive agli uomini, il bene è spesso con le loro ossa sepolto; e così sia anche di Cesare». Antonio, da consumato retore e scaltro uomo politico riesce a tessere le lodi di Cesare e a ribaltare in meriti quelli che sono vizi per Bruto, che è pure un uomo d’onore. Egli non è venuto per contraddire Bruto, certamente, ma per dire tutto ciò che sa di Cesare (vedi per intero il grande discorso di Antonio nel box a fianco). Poi con consumata astuzia retorica fa cenno al testamento di Cesare. Il popolo ne reclama allora la lettura integrale. Forte del consenso popolare Antonio rompe ogni indugio e scoprendo platealmente il corpo di Cesare ne mostra le ferite e i colpi di pugnale inferti da quelli che adesso indica pubblicamente come traditori. Quindi il colpo di scena finale: la lettura del testamento di Cesare col lascito al popolo di Roma di settantacinque dramme pro capite e dei giardini di là del Tevere lasciati a godimento della cittadinanza tutta. Il popolo è in fiamme e porta in trionfo il corpo di Cesare, verso la cremazione e l’onore pubblico. I congiurati fuggono e Antonio va in direzione di Ottavio, annunciato da un servo.
Atto III, scena III
Roma, una via.
Il poeta Cinna che intende omaggiare Cesare viene scambiato dal popolo per il cospiratore, di cui ahimè è sfortunatamente omonimo, e tale è il furore popolare che il povero poeta viene fatto a pezzi.
Atto IV, scena I
Roma, in casa di Marcantonio.
Ottavio, Lepido e Antonio preparano la lista dei cospiratori da giustiziare, cui non sfuggono i congiunti sia di Ottavio che di Lepido. Uscito Lepido i due stringono un patto di spartizione del mondo che escluda costui, ritenuto da Antonio «un individuo di spirito sterile, uno che si alimenta di rifiuti, di robacce, di false imitazioni che, scartate dagli altri, fuori uso, diventano per lui ultima moda». I due saldano il loro patto che li vede per intanto affrontare Bruto e i suoi che stanno assoldando truppe.
Atto IV, scena II
Davanti alla tenda di Bruto, nell’accampamento presso Sardi.
Bruto teme qualche tradimento da parte di Cassio. Da messaggeri apprende che la sua amicizia si sta intiepidendo. «Come sempre l’amicizia quando inizia a guastarsi ed a marcire s’ammanta di sforzata cortesia. La lealtà, quando è sincera e semplice, non ha trucchi; ma gli uomini insinceri
sono come i cavalli sfocazzanti guidati a mano, che fan grande sfoggio d’ardore e ti prometton chi sa che; ma quando son montati e sentono sui fianchi il duro sprone, abbassano la cresta e come pigri e rozzi ronzinanti deludono e falliscono la prova». Viene annunciato l’ arrivo di Cassio.
Atto IV, scena III
L’interno della tenda di Bruto
Bruto accusa Cassio di avere la mano sciolta e di vendersi le cariche pubbliche. Ma come, incalza Bruto, abbiamo ucciso l’uomo più potente della terra, perché proteggeva i ladri per poi insozzarci le mani con basse regalie e « ridurci a barattare il grande spazio del nostro onore per una manciata
di vil metallo?» . I due hanno aspro diverbio, Bruto rimprovera a Cassio di avergli negato il denaro che gli occorreva per pagare le truppe; Cassio lamenta all’amico un’asprezza di toni e di non saper sopportare le sue debolezze ma di metterle piuttosto in risalto. Dopo reciproco chiarimento i due si abbracciano riappacificandosi. Dopo l’intermezzo di un poeta pazzo che incita i due a riconciliarsi, Bruto rivela a Cassio la morte della moglie Porzia, che si suicidata ingerendo del fuoco. Messaggeri pervengono annunciando che il triumvirato ha messo a morte cento senatori e anche Cicerone e che ha radunato un grande esercito a Filippi. Si ragiona con Bruto se sia meglio sfidarli in battaglia a Filippi o attenderli dove si trovano a Sardi. Si opta per la prima. Andati via tutti Bruto si ritira nella tenda e al suono della cetra del servo Lucio, che tuttavia si addormenta sfinito, si abbandona alla lettura quando gli appare lo spettro di Cesare che lo ammonisce: « Ci rivedremo a Filippi». Allarmato Bruto sveglia tutti e ordina che si allerti Cassio e che ci si metta subito in marcia per la battaglia.
Atto V, scena I
La piana di Filippi
Ottavio e Antonio commentano lo strano ardimento della parte avversa di scendere in battaglia nella piana di Filippi piuttosto che attestarsi sul monte. Non è che un falso ardimento per Antonio. Ma prima della battaglia Bruto chiede un conciliabolo coi duumviri, ma ben presto il dialogo rende evidenti le ragioni di un impossibile chiarimento. Si scioglie la riunione e Cassio chiama i suoi e svela che è il giorno del suo compleanno. Da epicureo pentito dichiara altresì di avere avuto cattivi presagi e di prestare loro fede. A Bruto che entra chiede che cosa farà in questo giorno che potrebbe essere l’ultimo di sua vita. Bruto ritiene basso e vile anticipare la propria fine, ma certamente non accetterà di essere condotto in ceppi a Roma. I due si salutano come se fosse l’ultima volta.
Atto V, scena II
La piana di Filippi
Un breve ordine di Bruto a Messala di far avanzare le legioni dove l’ala di Ottavio gli appare in difficoltà.
Atto V, scena III
Filippi. Un’altra parte del campo
Cassio è trionfante per la sua azione militare, ma Titinio lo avvisa che l’ordine di Bruto di attaccare l’ala di Ottavio s’è rivelato intempestivo perché se ha avuto buon gioco su Ottavio ha scoperto le truppe di Cassio contro quelle di Antonio, che infatti gli sono addosso. Vistosi perso Cassio si fa trafiggere a morte dallo schiavo Pindaro. Il suo ultimo pensiero va a Cesare: « Sei vendicato, Cesare, con quella stessa lama che t’ha ucciso!», dice spirando. L’amico Titinio nello scoprire il cadavere di Cassio si trafigge anch’egli. Allarmi, frastuoni di guerra, sopraggiunge Bruto che scorge subito i cadaveri dei due sodali. Rimanda le esequie.
Atto V, scena IV
Filippi. Altra parte del campo
Ultime resistenze dei ribelli. Il giovane Marco Catone urla la sua fede in Roma e il suo odio verso i tiranni. A lui si accompagna Bruto. Il giovane Catone si getta nella mischia ed è sopraffatto.
Atto V, scena V
Filippi. Altra parte del campo
Bruto chiede ai suoi di ucciderlo. Ma sia Dardanio che Clito che Volumnio si rifiutano. Allarmi e frastuoni lontani. Bruto dà allora l’addio a tutti. «Da questa mia sconfitta avrò più gloria di quanta ne potranno derivare sicuramente Ottavio e Marcantonio da questa loro meschina vittoria. Addio a tutti». All’amico Stratone dà l’incombenza di tenere ferma la spada su cui si getta trafiggendosi.
Entra Ottavio che rende omaggio al congiurato Bruto prendendo al suo servizio Stratone. Antonio trova parole di sincera stima verso Bruto, rispetto agli altri congiurati che agirono per mero interesse, privi di ideali: « Che di tutti loro fu il Romano di gran lunga il più nobile: tutti i cospiratori, eccetto lui, hanno agito così come hanno agito perché invidiosi contro il grande Cesare: soltanto lui, per onesto sentire e premuroso del pubblico bene s’è accompagnato a loro nell’impresa. Nobile è stata tutta la sua vita, e in lui Natura sì armoniosamente aveva mescolato i suoi elementi, da ergersi e proclamare al mondo:“Questo fu un uomo!” »
Ottavio ordina di rendere adeguati onori militari al valoroso Bruto.
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