Gustave Flaubert
Scrittore francese (Rouen, 1821 - Croisset, nei pressi di Rouen, 1880).
Madame Bovary, opera che la borghesia benpensante volle far condannare per immoralità, è uno dei romanzi più studiati in Francia. Rivalsa superba, ma postuma di un autore di cui, da vivo, nessuna opera strappò l’adesione unanime e che, per disgusto del proprio secolo calcolatore e borghese, scelse la solitudine più dura, da vero “monaco della letteratura”.
Seppur profondamente innovatrice e destinata ad avere un’enorme risonanza fino ai giorni nostri e anche su scrittori distantissimi da lui (si pensi a Kafka) e in diversi ambiti artistici (non solo il nouveau roman ma anche l’école du regard nascono da essa), l’opera di Flaubert si riduce tuttavia, nonostante il lavoro accanito e i continui rifacimenti del suo autore, a quattro romanzi, tre racconti, una pièce teatrale. Solo postumi si ebbero le opere giovanili e solo di recente, nella sua completezza, un immenso e bellissimo epistolario, dove l’artista, al riparo di preoccupazioni di stile, manifesta tutta la propria franca e risentita umanità.
La noia provinciale
Per Flaubert, tutto comincia con la noia, a Rouen, dove nasce nel 1821, mentre nella Francia letteraria fiorisce il primo romanticismo. Una famiglia della buona borghesia normanna la sua: il padre è chirurgo presso l’ospedale locale, la madre di lontane origini nobiliari, può contare contatti diretti con la corte di Napoleone il Piccolo, che si riveleranno utilissimi quando Gustave si caccerà nei pasticci con la pubblicazione, giudicata oscena, della sua Bovary.
Gustave è il figlio di mezzo, tra un fratello maggiore lontano da lui spiritualmente e destinato alla dinastia medico-ospedaliera e più grande di una sorella teneramente amata, che morirà partorendo una bambina, Caroline, che Flaubert educherà e che sarà destinataria di lettere preoccupate e affettuosissime del vecchio scrittore che aveva sacrificato tutto, anche una propria famiglia, per la letteratura.
Il piccolo Gustave di cui Sartre tenterà di catturare la storia interiore in un’immensa e delirante biografia (L’ Idiota della famiglia, 1971), può restare inebetito per delle ore o essere oggetto di scherno da parte degli adulti che lo manderanno nella stanza adiacente per vedere se “lui” c’era, ricevendone dal piccolo risposta desolatamente negativa. Lui, lettore adulto accanito, ha difficoltà ad apprendere a leggere e ben presto manifesta i segni di una malattia nervosa, di cui non si saprà mai l’effettiva realtà clinica. Ma ha già un’immaginazione potente, e, giovanissimo, ha già perso ogni illusione sull’uomo, sulla natura o sulla società, esibendo uno scetticismo radicale, di consistenza biblica (libro di Qohèlet) che non lo abbandonerà mai. A vent’anni legge Rabelais, Byron, Omero, Shakespeare, Goethe e “se fout” di tutto, atteggiamento che pone le basi del suo “grottesco triste” da lui stesso inventato come categoria artistico-letteraria e che gli si addice meglio di ogni altra categoria stilisitca. Giovanissimo ancora, fa l’esperienza della morte: quella dell’amatissima sorella Caroline, nel 1846; poco dopo, quella dell’amico di sempre Alfred Le Poittevin.
Ancora molti anni dopo, adulto scettico e disincantato, avrà per queste morti parole di infinita amarezza e di vivo dolore.
L’apprendistato
Fra le opere di Flaubert, molti testi giovanili, composti tra il 1836 e il 1842, danno qualche cenno sulla sua intera opera, nel senso che anche nelle opere della maturità, le più distanti dall’accesa atmosfera “romantica”, agitata, scomposta, anticlassica, che le governa, si potrà rintracciare qualche suggestione del suo primo apprendistato letterario, da cui egli si è volontariamente allontanato, ma non tanto da occultarne totalmente la febbre giovanile che li aveva generati: «Io sono un romantico, dirà, ne porto il marchio al collo». Di questo marchio in Rêve d'enfer o in Quidquid volueris (testi del 1837) in Memorie di un folle (1838), fino all’opera più compiuta di questa prima produzione, Novembre, vi sono ampi segni: vi abbondano crimini, abbandoni, tradimenti, stupri, sangue, “carne, morte e diavolo”, per usare la fortunata formula di Praz. « Ah svegliarsi al bagliore di città incendiate, ah morire di colera a Calcutta!», scriverà in Novembre. Il “romanzesco” e il romanticismo contro cui il Flaubert adulto polemizzerà è tutto qui, in forme estese ed espanse, dilaganti, imbarazzanti. Si direbbe che il Flaubert costretto a riscrivere le proprie opere, - ed è proverbiale lo sforzo immane cui si è sottoposto in tal senso: da Memorie di un folle nasce L’educazione sentimentale!-, sia un Flaubert che deve prosciugare tutta questa informe materia, arginare l’esagitato lirismo e il dérèglement de tous les sens (per dirla con Baudelaire) che le anima. Ed è da apprendere come lezione questa dello scrittore normanno: che si arriva alla propria arte e a sé stessi, togliendo, arginando... sé stessi. Se v’è impassibilità e impersonalità nelle sue opere, esse nascono dall’esigenza di contenersi, di occludere la vena esagitatamente soggettiva che vorrebbe zampillare da tutte le parti e straripare sulla pagina. Occorre scrivere «en artiste», dirà alla Louise Colet, ossia appunto “scrivere”, non “scriversi”, trascendere da sé stessi, e avendo la propria opera davanti a sé, staccando - e l’autore che dirà «Madame Bovary sono io» sa che non è del tutto possibile -, sé stessi dalla propria opera.
Nel 1840, Flaubert compie un viaggio per i Pirenei e la Corsica; a Marsiglia, con Eulalie Foucaud de Langlade, vive la sua prima “fouterie de délices ”, dopo l’iniziazione sessuale avvenuta nelle borghesi e ipocrite mura domestiche, con la cameriera di casa (secondo la ricostruzione di Jean Bruneau, il curatore del suo immenso epistolario).
Ma questo primo amore è anche un naufragio per il suo immaginario: Novembre (1842), ispirato da questa delusione, è testimonianza della devastazione della voluttà e della coscienza desiderante operatogli da questa donna. A diciannove anni, Gustave scopre che non c’è amore possibile che nel sogno dell’amore, e non nel mondo reale. Da ora in poi la divaricazione tra vita sentimentale e vita sessuale sarà il dato della sua biografia più singolare, oltre che materia di elaborazione artistica che sfocerà soprattutto ne l’Educazione sentimentale.
Flaubert comincia ad annoiarsi: parte per Parigi, dove si è iscritto a giurisprudenza, inizia a scrivere Sentimentale (un romanzo alla Balzac, che non ha nulla a che vedere con L’Educazione sentimentale, del 1869), attraversa, nel 1844, una crisi terribile. In questa “malattia di nervi” - probabilmente epilessia - che minaccia la sua fibra fisica e morale, egli vedrà un cesura simbolica fondamentale, il segno di una svolta nella propria vita. E già emerge il progetto di chiudersi nella proprietà familiare a Croisset, borgo lungo la Senna vicino a Rouen, dove scriverà tutti i suoi libri.
Dall’Italia all’Oriente
Ma, prima della solitudine e del raccoglimento, Flaubert viaggia. Parte dapprima per l’Italia, in compagnia della sorella Caroline, appena prima della sua morte. Quindi viaggia con l’ amico Maxime Du Camp: in Bretagna, nel 1847 (resterà Per i campi e lungo i greti, apparso postumo nel 1885: i due amici vi incrociano le loro scritture, assegnandosi la redazione dei capitoli dispari Flaubert, pari Du Camp), quindi partono assieme per l’Oriente. Questo viaggio fu deciso dopo un primo tentativo letterario di lunga lena e grande ambizione: La tentazione di Sant’Antonio, ispiratogli da un quadro di Bruegel ammirato al palazzo Barbi di Genova durante una sosta del suo viaggio in Italia. Iniziato nel maggio del 1848 e letto in una seduta di quattro giorni agli amici Du Camp e Bouilhet nell’autunno del 1849 è una testimonianza del romanticismo voluttuoso di Flaubert. Il verdetto dei due amici è duro: “Occorre gettarlo nel fuoco e non parlarne mai più.” E, fin dal mese seguente, Flaubert si imbarca con Du Camp: Malta, Alessandria, Il Cairo, Tebe, Luxor, Beirut, Gerusalemme, Rodi, Costantinopoli, Atene, Roma, Venezia, un viaggio lunghissimo - rientreranno in Francia nel giugno 1851 - testimoniato da un epistolario fiammeggiante e senza veli. Flaubert va incontro all’arte del favoloso Oriente, ma lontano dallo sguardo materno si concederà ogni esperienza sessuale, da quella dei bordelli del Cairo con giovani prostituti alla grande copula con la famosa cortigiana Kuchiouk-Hânem. Flaubert è un viaggiatore straordinario: vedrà, fiuterà, palperà ogni cosa, mentre la sua scrittura si trasforma sensuale, pittorica, a imprimere nella memoria le donne, i profumi, le guaste essenze d’Oriente. Leggendo il Viaggio in Oriente (parte del suo epistolario, in Italia pubblicato da Serra e Riva), si comprende la potenza di questo falso paradosso: quest’uomo che si annoiava tanto, ha in modo pazzesco amato la vita, di un amore carnale e violento, dalla sabbia del deserto alla pelle di seta della cortigiana Egiziana Kuchiouk-Hânem, dello splendore del tramonto sul Nilo all’odore amaro dei limoni nel cimitero di Jaffa, un mondo esterno e interiore che traduce con un lirismo senza pari e con altrettanta capacità di penetrazione e che troveremo intatto, più che nelle sue opere, compiute e raffrenate, nella propria Corrispondenza, forse il suo vero capolavoro (epistolario intrattenuto con la madre, la nipote, la sua amante Louise Colet, ma anche con Théophile Gautier, Goncourt, Sainte-Beuve, George Sand, Renan...)
L’eremita di Croisset
A partire dal 1851, anno in cui comincia il capolavoro Madame Bovary, e se si esclude il viaggio a Cartagine nel 1858 – sopralluogo meticoloso dell’Africa in previsione di Salammbô -, Flaubert non lascerà praticamente più Croisset: le sue vere avventure saranno solo nei libri che legge e in quelli che scrive.
Il soggetto di Madame Bovary gli venne suggerito, a quel che si sa, dai suoi amici, insoddisfatti dal romanticismo fiammeggiante del primo Sant’Antonio. Il suggerimento di dedicarsi a un soggetto terra-terra pare che gli sia stato dato dall’amico Bouhilet. Ma nei fatti Flaubert è un artista doppio fin dalla prima giovinezza: «Vi sono in me – scriverà – letteralmente parlando, due uomini distinti: uno in preda a ululati lirici, a grandi voli d'aquila, a tutte le sonorità della frase e delle vette dell'idea; un altro che fruga e sviscera il vero più che può, che ama mettere in rilievo il piccolo fatto con altrettanta potenza del grande, che vorrebbe farvi quasi sentire materialmente le cose che riproduce».
Madame Bovary
Malmaritata, sperduta nella campagna normanna, ristretta in una vita ordinaria, nell’astanteria di un medico mediocre, una giovane donna si macera nelle noie della provincia, scontando in un una esistenza senza emozioni, un'immaginazione esorbitante nutrita dalla lettura incessante di romanzi. Al fine di dar compimento ad una vita “altra”, lungamente agognata, combatte come può il proprio male di vivere, dandosi all’adulterio e a una vita dispendiosa superiore alle proprie possibilità, trovando nella morte il suggello al proprio fallimento esistenziale. Emma Bovary diventerà l’eroina eponima di ogni individuo in lotta per il proprio ideale contro le ristrettezze del reale, di chi intraprende la lotta per spezzare le barriere dell’ io contingente, in cerca del se stesso reale e della propria auto-affermazione. La traiettoria disegnata da Flaubert per il suo personaggio è però implacabile: chi nutre una visione erronea di se stesso, del proprio capitale interiore, non può avere altro risultato che la bancarotta dell’Io. Egli infierirà contro la sua creatura, una povera petite femme, una donnetta, come la chiamerà, ma non è da escludere che, nella visione grottesca dell’arte, Flaubert non abbia voluto ritrarre nelle forme minime e ridicolizzate la grande tragedia - che fu dopotutto del divino Hidalgo don Chisciotte -, di ogni individuo che a partire da una visione di se stesso (in questo caso artefatta dalla lettura dei libri, ma nessuno vede se stesso senza mediatori mentali o culturali) tende alla propria affermazione-realizzazione, a “mettere al mondo” quell’Io che lui solo ha intravisto, dunque al completamento intimo e totale della propria missione terrena.
Effettivamente, poco importa l’argomento: Flaubert sa già che in letteratura non esistono soggetti belli o indegni, sa che ciò che conta è il modo di rappresentarli, lo stile. Affinché il suo romanzo prenda forma, gli ci vorranno sei lunghi anni di lavoro senza sosta. Ma che romanzo! Una progressione impeccabile, una scrittura sobria, apparentemente oggettiva, ribollente tuttavia di tutto il magma desiderante che passa nella coscienza della protagonista. È un tour de force: far passare il lirismo più esagitato e fiammeggiante attraverso la porta stretta di una situazione provinciale e il cervello di una donnetta. Occorre perciò il più spietato freno dell’arte. Due mesi di accanito lavoro a volte per scrivere una scena che durerà tre ore (quella centrale dei famosi comizi agricoli, dove il fraseggio amoroso dei due amanti è alternato alla voce del banditore di una fiera bovina); mesi di lavoro perché l’azione romantica tradizionale diventi impressione, proposta pura, per spostare l’interesse dal mero fatto narrato all’emozione percepita dai suoi protagonisti (e dai lettori), perché tutta la personalità di Emma trovi degna rappresentazione nelle movenze flessuose del corpo quando balla il valzer al castello della Vaubyessard, nelle fragranze vegetali del sottobosco autunnale allorché il suo amante Rodolphe le rivela il piacere carnale, nell’odore amaro dell’arsenico che la ucciderà; mentre arretrano nell’ambito dei confini del romanzo tradizionale, di cui Flaubert demolisce tutti gli ingranaggi, i poveri “eventi” della sua vita.
Emma è il cuore pulsante del libro, il suo desiderio - una vera macchina desiderante cui si dovrà tornare per capire non solo come funziona il desiderio femminile, ma il desiderio tout court -, poco a poco, investe tutto: l’istituzione coniugale, la religione, la maternità, le norme sociali. Il suo desiderio di vivere è eversivo. Lo scandalo di Emma è che non finge neppure più di rispettare gli imbecilli e gli invalidi che la circondano, la provincia e le sue censure, la morale che non vuole che si abbia un corpo e che se ne faccia uso, la religione ed i suoi divieti, il capitalismo, che uccide coloro che osano sprecare un denaro che “dovrebbe” essere investito nel circuito produttivo dello scambio. Romantica dalla testa ai piedi (come il suo autore che da artista ambivalente punisce in lei ciò che più ama) Emma muore scambiando i suoi desideri per realtà, mentre la stupidità la invade e celebra i suoi trionfi.
Un romanzo storico
Cominciato ne 1857 subito dopo la Bovary per rifarsi gli occhi in quell’Oriente purpureo e gemmato visto da giovane e intravisto attraverso le nebbie del suo romitaggio normanno, Salammbô esce nel 1862. Con questo romanzo (l’azione evoca la sommossa dei mercenari contro Cartagine dopo la prima guerra punica), Flaubert si immerge nel suo vero ”altrove”, la biblioteca, che saccheggerà ancora per la sua ultima Tentazione di Sant’Antonio (una messe di informazioni sulla vita monacale della Tebaide, sulle prime eresie, la gnosi). Profondamente affascinato dal frisson de l’histoire, fin dai tempi di Per i campi e lungo i greti (e allora si trattava della Francia dei re e dei castelli), cerca di resuscitare i secoli perenti. Rapito dalla bellezza della Tunisia, evoca in scene sontuose color porpora un fondale storico che a volte sa di cartapesta a volte di sogno sognato ad occhi aperti. È «una scorpacciata di hascisc storico» per dirla con le sue stesse parole. E per lo scrittore che ha concepito opere dove una donna si accoppia con un orangutang (Quidquid volueris) e capolavori indimenticabili come L'educazione sentimentale, Salammbô è la prova come sia difficile in letteratura anche per un genio trovare se setsso.
Le ultime opere
Dopo il successo notevole di Salammbô Flaubert è un nome affermato nella scena parigina. Abbandona per un po’ il romitaggio di Croisset e frequenta il monde parigino (la principessa Mathilde). Si fa anche tentare dal teatro ( per lui, letterato scontroso e totalmente ostile alla bohème, l’abbordaggio della Hollywood dei boulevards è il massimo dello snaturamento). Scrive una pièce, Le candidat: lo scacco è cocente e ben meritato.
Ritorna al cilicio della solitudine e al romanzo. È la volta dell’Educazione sentimentale, il vecchio scartafaccio giovanile più volte riscritto. Il mondo lo annoia, come la politica, che considererà sempre come una buffoneria triste. Se ostenta il suo disprezzo per il ’48 (Flaubert si considerava un liberale enragé, nei fatti era un bel reazionario, contrario sia alla diffusione dell’istruzione sia all’ottimismo borghese e all’industrialismo) e se cede davanti a qualche lusinga dell’ambiente di corte di Napoleone III, la sua chiarezza politica si esercita nel solo dominio letterario che gli importa: il romanzo. Quando inizia L’Educazione sentimentale, ha coscienza di fare precisamente un’opera politica, e si può vedere più di una boutade nella propria riflessione laconica dinanzi alle rovine della Comune: «Tutto ciò non sarebbe successo se si fosse capito L’educazione sentimentale.» Per terminare quest’ultimo romanzo, contemporaneo e parigino, gli occorreranno ancora cinque anni (dal 1864 a 1869).
L’Educazione sentimentale
1840. Frédéric Moreau, uno studente liceale di 18 anni, scorge, sul battello che lo riconduce alla sua città natale di Nogent sur Marne, la signora Arnoux, moglie di Jacques Arnoux, uno speculatore dilettante. Scambia con lei alcune parole ed uno sguardo: è il colpo di fulmine. Questo momento lo segnerà per sempre. La passione per questa donna, amore vero ma di testa, non troverà mai il suo esito naturale. Sia le circostanze come anche le singolari disposizioni mentali dei due amanti non consentiranno il passaggio del sentimento alla fase carnale. (In occasione del loro ultimo straziante e patetico incontro, 27 anni dopo, lei sembrerebbe avere un ripensamento e gli confesserà, troppo tardi, che ha corrisposto il suo amore, pur non cedendogli mai ).
Per intanto Frédéric dovrà tornare a vivere in provincia a causa della precarietà della sua situazione economica, prima che una inaspettata eredità gli consenta di vivere nuovamente a Parigi.
Frequenterà in seguito Rosanette, una donna facile, incontrata durante un ballo mascherato. Avranno un bambino che morirà. Frédéric avrà anche una relazione con la signora Dambreuse, vedova di un banchiere dagli affari poco chiari. Deslauriers il suo migliore amico, sposerà Louise Roque, amica d’infanzia che invece avrebbe tanto voluto sposare Frédéric.
Il romanzo descrive in una suite di scene totalmente prive di carattere “romanzesco” ( e risiede qui il suo difficile fascino) la vita ordinaria di Frédéric a Parigi, lo segue nelle giornate rivoluzionarie del 1848, immerso in piccoli e minuti affari, spesso fallimentari, e nei suoi incontri quotidiani con amici e conoscenti: Deslauriers, Pellerin, Dussardier, Sénécal, Martinon, Vatnaz oltre che con M. e M.me Arnoux.
È tuttavia con Deslauriers, amico d’infanzia, anch’egli carico di disillusioni, che Frédéric trarrà, nel ricordare gli episodi giovanili di frequentazione dei bordelli «l'ultima lezione dalla loro educazione sentimentale»: nulla vale i ricordi e le illusioni dell'adolescenza. Su questa scena si chiude L’educazione sentimentale.
La sua Tentazione, sempre in cantiere, lo tormenta, ed appena l’Educazione esce la termina, infine, nel 1872 sgrossando lo scartafaccio che aveva letto agli amici. Durante la redazione di questo libro il dramma personale e storico prende il sopravvento nella sua vita di uomo straordinariamente sensibile agli affetti: muoiono sia Bouilhet che Duplan, gli amici di una vita; anno nero il 1870, in cui i prussiani occupano Croisset; morte dell’adorata madre e di Théophile Gautier nel 1872. «Avrò la forza di vivere assolutamente da solo nella più cupa solitudine?» si interroga l’eremita, che, prima che un’emorragia cerebrale lo porti via l’8 maggio 1880, ha il tempo di scrivere alcuni capovalvori lontani dallo spirito del secolo: l’epopea grandiosa e sinistra della stupidità culturale ed enciclopedica che è Bouvard e Pécuchet (due cancellieri in pensione irretiti da una bulimia di sapere, che dopo molte esperienze catastrofiche ispirate dalle loro letture, finiscono per tornare a copiare).
Il libro si giova anche di un Dizionario delle Idee ricevute , sorta di summa dello stupidario della propria epoca amorevolmente raccolto dall’artista per rispondere “alla marea di m...” del proprio tempo (e Flaubert ha raccolto anche a parte un immenso Sciocchezzaio).
E infine il meraviglioso cristianesimo dei Tre racconti, (1877): Un cuore semplice, La leggenda di san Giuliano l’Ospedaliere, Erodiade, dove in estrema sintesi il Flaubert della fine raccoglie tutto se stesso: il giovane intellettuale ed esteta irretito dall’Oriente; il francese normanno di civilizzazione cristiana; l’acre e commosso vivisezionatore della semplicità e stupidità umana (ancora intravista attraverso lo specchio ustorio del grottesco triste) nella storia di una povera serva che in preda ad allucinazioni visive scambia un pappagallo per lo Spirito Santo.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
© lafrusta. Tutti i diritti riservati.Traduzione adattata di materiale rinvenuto in Rete. Riproduzione vietata.
Vietato il deep link. Copia registrata in "corso particolare". Autorizzato l'uso solo per scopi didattici o di studio personali.